La Dipendenza d'Amore - Martina Benifei

La dipendenza d’amore in un’ottica gestaltica.

“Non puoi costringere nessuno ad amarti. Devi semplicemente rivelare chi sei e correre il rischio. Certo, puoi fare un’impressione gradevole sugli altri, adularli e placarli. Oppure, puoi intimidirli, minacciarli e ricattarli. Ma non puoi, sia con la persuasione che con la forza, strappare un dono d’amore. “

S.B. Kopp,

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo

 

“Non si può non dipendere”

L’indipendenza assoluta è un mito, incompatibile con la vita. In questo senso “non si può non dipendere”. Alcuni bisogni psicologici fondamentali, come quelli di appartenenza e di stima, possono trovare soddisfazione solo nella relazione con altri esseri umani. Il termine “dipendenza” può quindi essere utilizzato per constatare un’ovvietà, cioè che possiamo dire di esistere solo se affermiamo l’esistenza di un mondo esterno, con il quale attuiamo un continuo scambio, che ci permette di soddisfare bisogni, di rispondere a desideri e di raggiungere obiettivi. Ciò che fa la differenza è quindi come realizziamo questo scambio, come “ci connettiamo” con l’altro da noi. come realizziamo l’interazione con l’altro, con il mondo esterno.

Dipendenza e amore. Quando la dipendenza è sana!

Mi piace utilizzare l’espressione “dipendenza IN amore” per indicare le manifestazioni “sane” della dipendenza nelle relazioni sentimentali. Quando parliamo di dipendenza in amore, quindi, non sempre alludiamo ad una condizione che interferisce con il nostro benessere, che comporta sofferenza, che danneggia la qualità della vita.

Sperimentiamo questa condizione di dipendenza nell’innamoramento, che per quanto sia un’esperienza folle, non possiamo definirla “patologica”. Non lo è, in quanto dal punto di vista biologico ha un valore adattivo, ma non lo è anche per un altro fattore: la breve durata!

Infatti, a patto che sia solo per un po’, possiamo concederci l’esperienza, tipica dell’innamoramento, di non sentirci integri! Lasciar andare i confini, ci permette di godere della fusione con l’altro, dell’illusione di aver definitivamente acquietato le nostre antiche paure. Il rapporto di dipendenza tipico dell’innamoramento, non impedisce la crescita, il movimento, la trasformazione: questa condizione di fusione con l’altro è rassicurante, è una base sicura da cui partire per accorgerci di aspetti negati, per sperimentarli e per osare.

Come suggerisce Poudat (La dipendenza Amorosa. Quando l’amore e il sesso diventano una droga, Castelvecchi, 2006) viviamo una condizione “sana” di dipendenza se manteniamo la capacità di saperci staccare dalle nostre “boe di dipendenza”, cioè dai punti di riferimento alla base della nostra esistenza.

La dipendenza è “patologica”, invece, quando questi punti di riferimento diventano sistematicamente delle droghe, cioè quando non possiamo farne a meno.

In questo senso, la dipendenza è una particolare forma di legame con l’altro da noi (oggetti, sostanze, persone ecc), che impedisce la crescita, arresta il fluire dell’esperienza, tende a cristallizzare il legame con il mondo, per cui tendiamo ad instaurare con esso un equilibrio statico. In ottica gestaltica, quando si parla dell’influenza negativa dei rapporti di dipendenza sulla qualità della vita, si può far riferimento ad un blocco di questa connessione ciclica con il mondo, che ostacola quella che in psicoterapia della gestalt si chiama “regolazione organismica”.

Che cosa si intende per Dipendenza D’Amore e come si manifesta?

Si parla di “dipendenza D’amore” per indicare quelle situazioni in cui l’amore assume la funzione di una vera e propria droga anestetizzante, che allontana la persona dal contatto con se stessa, con le emozioni, i bisogni e i desideri presenti nel qui ed ora. Come sostiene Norwood (“Donne che amano troppo”, Feltrinelli, 1989) molti dei sintomi sperimentati da chi “ama troppo” sono i sintomi fisici e psichici tipici della persona tossicodipendente in astinenza: nausea, sudori, brividi, tremori, movimenti inconsulti, pensieri ossessivi, depressione, insonnia, panico e attacchi d’ansia. Solo il riavvicinamento al partner o la ricerca disperata di un sostituto, hanno il potere di alleviare questi sintomi.

La dipendenza d’amore si caratterizza, come tutte le altre dipendenze, per alcuni aspetti fondamentali:

  • il piacere, in questo caso connesso alla droga d’amore; ovvero l’ebbrezza e l’euforia che la persona prova nella relazione con il partner e che vive come indispensabile per stare bene.
  • la tolleranza o dose, cioè il bisogno di trascorrere sempre più tempo insieme al partner, riducendo spazi e tempi vissuti in autonomia e i contatti con persone esterne alla coppia.
  • l’astinenza, uno stato si prostrazione e disperazione per la mancanza del partner, che si interrompe solo con la sua presenza tangibile.
  • l’incapacità di controllare il proprio comportamento, spesso vissuta con vergogna e rimorso.

A queste si aggiunge la paura ossessiva e fobica di perdere la persona amata, per cui ogni altro rapporto è vissuto come pericoloso. Questa paura si alimenta ad ogni piccolo segnale, che possa essere ricondotto ad un allontanamento del partner.

Quando parliamo di dipendenza affettiva o dipendenza d’amore, molto spesso alludiamo a quelle persone che tendono ad essere dipendenti dalle relazioni, cioè che hanno necessità di una relazione sentimentale e per cui sono ossessionati dalla perdita del partner o passano da una relazione all’altra.

Tuttavia, si può essere drogati d’amore anche in un altro senso. Fromm (“L’arte di amare”, Edizioni Oscar Mondadori, 2010. Prima stampa 1956) chiama amore sentimentale, l’amore vissuto solo con la fantasia, che esclude il rapporto reale con una persona. L’amore è vissuto soltanto nella dimensione del sogno ad occhi aperti; è un amore fuori dal tempo, che vive nel ricordo di un passato o nelle aspettative per il futuro.

Si tratta di quella forma di dipendenza, che ha per oggetto non tanto la relazione, ma l’amore stesso, o meglio l’ideale romantico dell’amore. Queste persone alimentano costantemente il desiderio di qualcosa di irraggiungibile, ricercano emozioni forti e sviluppano una sorta di dipendenza dal desiderio.

La tendenza all’evasione e all’idealizzazione dell’amore sono gli aspetti fondamentali. I sentimenti che scaturiscono da storie d’amore-romanzo reali o immaginarie diventano la droga per sopravvivere.

Questa forma di dipendenza, che talvolta rimane sullo sfondo, merita a mio avviso la dovuta attenzione, poiché spesso contraddistingue il vissuto di molte persone, soprattutto donne, che soffrono d’amore.

Dipendenza d’amore e Psicoterapia della Gestalt

Il mondo della dipendenza d’amore è un mondo di sogni, illusioni, aspettative, fantasie, che rappresentano una via di fuga e contemporaneamente una prigione. Una prigione affollata di nuvole che oscurano la vista, che impediscono di scorgere che c’è al di là.

Come afferma Quattrini (“Fenomenologia dell’esperienza, Zephyro Edizioni, 2007), le illusioni sono possibilità desiderate e, in quanto tali, sono indispensabili per l’esistenza.

Nella dipendenza d’amore, tuttavia, il mondo delle illusioni più che al servizio dei desideri della persona, risponde ad una passione, cioè il bisogno d’amore diventa fisso e predominante su tutti gli altri. Invece che ascoltare ciò che la propria sofferenza sta comunicando, la persona crea artificialmente un oggetto da amare, attribuisce alla relazione e all’altro qualità illusorie e desiderabili.

La fame d’amore, la cristallizzazione del bisogno di essere amati, impedisce l’emergere di altri bisogni, che quindi rimangono inascoltati e insoddisfatti. Da un punto di vista gestaltico, si può dire che questo mondo illusorio permette alla persona di allontanarsi dal contatto con vissuti spiacevoli.

E’ ovvio che nessuno di noi è costantemente vigile e consapevole rispetto alla propria esperienza, ma le persone dipendenti dall’amore, sembrano particolarmente inclini all’auto-inganno. E non è detto che ciò sia un problema! Lo diventa al momento in cui il mondo delle illusioni diventa una gabbia, che porta la persona alla passività, alla negazione di alcune parti di sé, di alcuni bisogni e desideri, che impedisce la crescita personale e aggiunge sofferenza, in quanto la vita si svuota di senso.

Il mondo delle illusioni diventa così ingombrante che offusca completamente il resto; al di là sembra esserci il niente, un vuoto desolante e spaventoso. Ma anche il vuoto è un’illusione, il vuoto è l’effetto dell’auto-inganno, dell’anestesia e dell’evitamento del contatto con le proprie emozioni, della dedizione ossessiva all’altro o ad un amore tormentato e irraggiungibile.

La psicoterapia della Gestalt ad indirizzo fenomenologico-esistenziale parte dal presupposto che non possiamo scegliere di sentire ciò che sentiamo, ma possiamo non accorgercene.

Le emozioni possono quindi non essere accolte, riconosciute e utilizzate per direzionare il proprio comportamento e per affrontare le difficoltà che si presentano.

La persona con dipendenza d’amore non si accorge dell’effetto che le fa il comportamento altrui, non si accorge di ciò che prova nella relazione con l’altro, si distacca da se stessa. Si accorge delle proprie emozioni quando si manifestano con tutto il loro impeto, ad esempio con scoppi di pianto o crisi d’ansia, ma ne è totalmente in balia. Sembra sopraffatta dalle proprie fantasie, che talvolta diventano delle vere e proprie ossessioni.

Molto spesso la persona dipendente non è consapevole della paura della solitudine, della fame d’amore, dell’uso che fa della relazione con l’altro per rassicurare le proprie insicurezze e per colmare antiche mancanze. Vede se stessa come il salvatore o la salvatrice, si attribuisce altre doti di specialità, vive mascherata dietro ad un personaggio. La costruzione di una “super-immagine di sé” è una delle difese compensative che la persona ha imparato ad utilizzare per difendersi dal dolore e far fronte alle sue difficoltà.

In quanto tale, esige rispetto, poiché chiedere alla persona di farne a meno sarebbe come privare improvvisamente un tossicomane della sua droga.

Il lavoro terapeutico può quindi essere orientato nell’aiutare la persona ad ampliare la propria consapevolezza rispetto alle ferite, ai bisogni che si sono cristallizzati in passioni, a quelle parti di sé rimaste all’oscuro, a scoprire ciò che guadagna e ciò che perde dall’aggrapparsi compulsivo a relazioni soffocanti o a fantasie romantiche.

Scavalcare il mondo delle illusioni per la persona dipendente d’amore significa darsi il permesso di sentire ciò che finora non ha voluto sentire, significa innanzitutto assumersi la responsabilità di ciò che sente.

La persona va quindi aiutata a scoprire e sviluppare la propria capacità di auto-sostegno, sperimentandola innanzitutto nel qui ed ora della relazione terapeutica.

Diventare consapevoli di ciò che si vuole, cioè dei propri bisogni e desideri, può aiutare la persona a mollare la presa dall’oggetto del desiderio e ad investire le proprie energie altrove. Prima ancora di tradurle in comportamenti, può iniziare ad immaginare altre modalità per soddisfare i propri bisogni e sperimentarne l’effetto a livello emotivo.

In questo modo, fantasia e immaginazione non vengono più utilizzate come fuga anestetizzante dal dolore, ma come strumenti che permettono alla persona di provare strade ancora non percorse, al fine di trasformare il vissuto dell’esperienza.

La persona può a piccoli passi riconoscersi la capacità di affrontare le sfide della vita e di riuscire ad attraversare, senza rimanerne intrappolata, i propri momenti di immaturità.

A mio avviso, la vera sfida per queste persone sembra essere quella di interessarsi a se stesse. I loro racconti sono esclusivamente rivolti a ciò che fa e prova il partner o l’amore impossibile. Tutto ciò che riguarda loro, invece, è messo sullo sfondo.

Un importante obiettivo terapeutico consiste quindi nell’aiutare la persona a sviluppare curiosità e amore per se stessa. La terapia è uno spazio insolito, uno spazio in cui non ci si preoccupa di ottenere dall’altro qualcosa… l’altro da cui puoi ottenere qualcosa sei tu, l’altro di cui prendersi cura sei tu! In questo senso, la terapia può essere intesa a mio avviso, come un ritorno a sé, uno spazio in cui la persona può creativamente imparare ad auto-sostenersi.

Dott.ssa Martina Benifei

Psicologa, Mediatrice Familiare, specializzanda in Psicoterapia della Gestalt ad orientamento fenomenologico-esistenziale.